Per le risorse finanziarie necessarie a sopperire ai costi sempre crescenti delle sue opere, don Bosco fece appello alla benevolenza delle istituzioni: la famiglia reale, le autorità di governo, gli amministratori pubblici (comunali, provinciali, statali…), le Opere benefiche esistenti sul territorio, la Banca Nazionale, le parrocchie, le diocesi, la Santa Sede stessa nelle persone dei suoi massimi esponenti, papa compreso. Per ogni richiesta di aiuto dava quelle ampie e precise ragioni benefiche e sociali, che a suo giudizio avrebbero dovuto far aprire i “cordoni della borsa” a chi ne possedeva una ben fornita e concedere quanto domandato alle autorità in termini di esenzioni, permessi, autorizzazioni, ecc.
Alla prova dei fatti il sostegno delle autorità pubbliche, tanto civili che ecclesiastiche, a don Bosco non venne mai meno, nonostante abbia mantenuto sempre in mano sua o dei singoli salesiani la proprietà dei beni mobili e immobili e si sia mostrato restio a costituire un ente morale legalmente riconosciuto. E a ragione, visto che la legislazione in vigore era decisamente ostile alle istituzioni religiose. Per il voto di povertà, trovò un modus vivendi accettabile dalla Santa Sede. Nella quindicina di lettere che pubblichiamo a modo di esempio fra le centinaia recuperate si vede come don Bosco si sia rivolto alle autorità comunali per le prime attrezzature scolastiche (n. 108) e per quelle di venticinque anni dopo (n. 123), per le spese dei tre Oratori e i debiti della costruzione della chiesa di San Francesco di Sales (n. 111), per il mantenimento degli orfani del colera (n. 112). Al re chiese sussidi per formare il patrimonio ecclesiastico dei chierici poveri (n. 109) e titoli onorifici per i benefattori generosi (n. 124). Ai ministri della Guerra chiese vestiti militari già usati per difendere i ragazzi dai rigori dell’ inverno (n. 113) o aiuti per emergenze alimentari (n. 119). Ai ministri dell’Interno il pagamento delle pensioni pattuite per i ragazzi accolti su richiesta ministeriale (n. 116) e un contributo per pagare la tassa sulla ricchezza mobile del collegio di Mirabello (n. 118). Al ministro delle Finanze avanzò la supplica di una riduzione della gravosa tassa sul macinato (n. 121), a quello della Pubblica Istruzione la domanda di un contributo per le scuole (n. 122). Al prefetto della Provincia chiese una mediazione, già negata dal ministro dell’Interno, per riduzioni ferroviarie dei ragazzi dei collegi salesiani (n. 120). Ovviamente don Bosco non mancò di ricorrere sovente anche alle autorità ecclesiastiche, tanto vescovili (n. 110), quanto pontificie (n. 125). Immancabili poi le circolari per i promotori di lotterie (n. 114) e per i possibili acquirenti dei biglietti messi in vendita (n. 115).
La corrispondenza che editiamo si colloca nel lasso di tempo 1847-1876, vale a dire dagli inizi dell’opera salesiana in casa Pinardi a Torino all’inizio dell’opera salesiana in Argentina.
Periodo di riferimento: 1847 – 1876
Giovanni Bosco, Lettera da Roma alla comunità salesiana dell’Oratorio di Torino-Valdocco,in Istituto Storico Salesiano, Fonti Salesiane. 1. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, pp. 313-333.
Istituzione di riferimento:
Istituto Storico Salesiano