In certe zone d’Italia, le ragazze orfane o trovatelle, ospitate negli istituti di carità pubblica venivano in passato chiamate popolarmente le “pericolanti”. Era naturalmente un termine brutalmente lesivo della dignità di quelle poverette che, a così caro prezzo, venivano mantenute. Questo anche a prescindere dal fatto che il termine rispondesse o meno alla realtà.
Don Bosco, pur usando raramente, e magari senza un significato così crudo, la stessa parola, presentava spesso ai suoi benefattori, nel chiedere il loro sostegno materiale alla sua opera, un quadro abbastanza simile dei ragazzi da lui ospitati.
Molti di essi erano davvero in qualche modo pericolanti, privi del sostegno di una vera famiglia, costretti spesso a fare della strada la loro dimora abituale, impiegati in lavori umilianti e trattati sul lavoro in modo brutale, esposti a mille pericoli e tentazioni. Don Bosco spendeva la sua vita per la loro salvezza: guardava con estrema preoccupazione al loro futuro, cercava di salvarli dai pericoli della strada, di assicurare loro un posto onorato nella società, ma soprattutto cercava di salvare la loro anima. Era la loro salvezza eterna ciò che più lo preoccupava e verso cui primariamente era diretta la sua cura educativa: “Quando un giovane entra nell’oratorio, il mio cuore esulta perché vedo un’anima da salvare”. Ai giovani stessi non chiedeva altro se non che lo aiutassero a salvare la loro anima: il “da mihi animas” di don Bosco, non aveva altro significato che questo.
Periodo di riferimento: 1880 – 1917
G. Gatti, Dall’osservanza della legge alla crescita: lettura etica della vita, in Domenico Savio raccontato da don Bosco: riflessioni sulla vita. Atti del Simposio, LAS, Roma 2005, 177-183.
Istituzione di riferimento:
Università Pontificia Salesiana (UPS)