Non c’è da stupirsi che nell’agitarsi delle questioni educative e scolastiche, le discussioni oscillino quasi prevalentemente tra due poli: alunni e insegnanti, giovani e adulti. In una delle fasi più torride, anche climaticamente, si è parlato e scritto molto, polemicamente, di «gioventù bruciata» o di «teddy-boys» e di «somari in cattedra». Sono seguite immediatamente le giuste e doverose rettifiche, le riserve, le smentite. I «giovani d’oggi», nella gran massa, nella quasi totalità, sono come furono sempre, un impasto di virtù, di positive speranze, di belle energie, inscindibili da difetti, debolezze e incertezze preoccupanti.
Sull’altro fronte, poi, non ci sono motivi che giustifichino acuiti pessimismi o esagerati timori: la categoria degli insegnanti e degli educatori anche per la particolare qualità del lavoro che compie e per le circostanze specialissime in cui lo svolge, è sempre ricca di grandi intenzioni, di capacità di influsso e di notevoli risorse culturali e morali; e, quello che forse è più simpatico, è sempre «educabile» (talvolta più degli alunni), e cioè accessibile al meglio, aperta al genuino progresso, sensibile a quanto la mette in grado di capire i giovani e di aiutarli. L’ importante è creare le condizioni, che permettano e favoriscano l’attuarsi di questa tensione naturale e cosciente. È quanto ci veniva di pensare leggendo il recente volume del prof. A. Santoni Rugiu, Il professore nella scuola italiana (Firenze, La Nuova Italia, 1959), indagine discretamente informata, anche se spesso unilaterale nel metodo di ricostruzione e di valutazione storica, sulla situazione — giuridica, economica e culturale — degli Insegnanti della scuola secondaria statale italiana dalla Legge Casati in poi.
Periodo di riferimento: 1959 – 1960
P. Braido, Insegnanti e educatori, in «Orientamenti pedagogici», 7 (1960), 661-663.
Istituzione di riferimento:
Facoltà di Scienze dell’Educazione UPS