La povertà in se stessa non è una virtù; essa una legittima conseguenza della colpa originale, destinata da Dio all’espiazione dei peccati ed alla santificazione delle anime. E’ quindi naturale che l’uomo ne abbia orrore, la consideri come una sciagura, e faccia quanto sta in lui per evitarla. La povertà diventa una virtù solo quando è volontariamente abbracciata per amor di Dio, come fanno coloro che si dànno alla vita religiosa. Tuttavia anche allora la povertà non cessa di essere amara; anche ai religiosi la pratica della povertà impone gravi sacrifizi. Non è perciò a stupire se la povertà sia sempre il punto più importante e nel tempo stesso più delicato della vita religiosa, se ella sia come la pietra di paragone per distinguere una comunità fiorente da una rilassata, un religioso zelante da un negligente. Essa sarà purtroppo lo scoglio contro cui andranno a rompere tanti magnanimi proponimenti, tante vocazioni che avevano del meraviglioso nel loro nascere e nel loro sviluppo. Di qui la necessità per parte dei Superiori di parlarne sovente e per parte di tutti i membri della famiglia salesiana di mantenerne vivo l’amore e intera la pratica.
Periodo di riferimento: 1907
M. Rua, “La povertà” in “Lettere circolari di Don Michele Rua ai salesiani“, Direzione generale delle opere salesiane, Torino 1965, 386-405.
Istituzione di riferimento:
Direzione Generale SDB