Il volume che presentiamo contiene una serie di saggi dedicati a studiare, con diversi approcci e da molteplici punti di vista, i sogni di don Bosco. Un primo e fondamentale motivo che giustifica tale indagine consiste nel fatto che don Bosco stesso ha attribuito ad alcuni di essi una valenza ispiratrice e, in vari modi, se n’è lasciato guidare. Come ha scritto autorevolmente Pietro Stella: I sogni […] fondarono convinzioni e sostennero imprese. Senza di essi non si spiegherebbero alcuni lineamenti caratteristici della religiosità di don Bosco e dei salesiani. Per questo essi meritano di essere studiati attentamente non soltanto per il loro contenuto pedagogico e moralistico, ma già per quello che furono in sé e per il modo come furono intesi da don Bosco, dai suoi giovani, dai suoi ammiratori ed eredi spirituali. Senza dubbio don Bosco ha accolto il messaggio dei sogni con prudenza, li ha sottoposti a un lungo discernimento spirituale e non li ha mai intesi come una via alternativa alla ricerca orante della volontà di Dio. Prima di raccontarli ai suoi figli ha atteso molti anni, in alcuni casi addirittura decenni, e si è deciso a farlo solo quando Pio IX, che vi aveva intuito il segno di una misteriosa azione dello Spirito, l’ha pressantemente sollecitato.
Nonostante le cautele con cui don Bosco si è servito dei sogni, è innegabile che molti aspetti dell’Oratorio e la stessa fondazione della Congregazione salesiana sono intrecciati in maniera così stretta con essi, che difficilmente si potrebbe intendere in tutta la sua ricchezza l’avventura spirituale del prete di Valdocco trascurandone l’apporto. È ciò che l’agiografia tradizionale ha recepito, dando spazio ai contenuti dei sogni nelle biografie del santo, nell’iconografia che lo ritrae e in molti canti religiosi a lui dedicati, a partire dal più celebre dei suoi inni: «Giù dai colli un dì lontano, con la sola madre accanto, sei venuto a questo piano dei tuoi sogni al dolce incanto».
Un secondo motivo che spinge a dedicare una particolare attenzione a queste pagine va ritrovato nel fatto che alcune di esse si presentano come documenti spirituali di altissimo valore, in cui è possibile ritrovare, nella forma evocativa tipica dei simboli onirici, l’espressione sintetica dei tratti costitutivi del carisma salesiano. Non è un caso, dunque, che fin dagli inizi della Congregazione i racconti di alcuni sogni furono utilizzati dal primo maestro dei novizi, don Giulio Barberis, per introdurre gli aspiranti alla vita salesiana in quello stile originale di consacrazione apostolica che da don Bosco traeva origine. Nelle immagini dei sogni erano, infatti, evocati gli atteggiamenti che dovevano essere assunti da chi voleva vivere con don Bosco e assimilare la sua spiritualità. I successori di don Bosco nella guida della Congregazione e della famiglia salesiana, d’altra parte, torneranno a più riprese su alcuni di questi testi, facendone risuonare in diverse epoche il messaggio educativo e spirituale e la forza interpellante.
Un terzo motivo, infine, può essere individuato nel fatto che tali pagine offrono non di rado un accesso al mondo interiore di don Bosco, che difficilmente si può ritrovare negli altri suoi scritti. È questo un elemento che forse non è stato ancora sufficientemente evidenziato e le cui potenzialità attendono di essere svolte. Tutti sappiamo quanto don Bosco fosse poco incline a parlare di sé e molto sobrio nel confidare i moti del proprio animo. Cresciuto in un ambiente contadino, in cui aveva respirato l’amore per il lavoro e il gusto della concretezza, don Bosco non era portato a indugiare nell’osservazione dei suoi stati interiori. Il suo carisma educativo e apostolico, inoltre, lo spingeva a esprimere la qualità della sua fede con l’ardore della carità più che con l’analisi riflessa del vissuto. È consueto dunque ritenere che non abbiamo molti documenti che ci permettano di scavare nell’intimo di questo prete divorato dalla passione apostolica, che non aveva tempo né inclinazione per raccontare la propria autobiografia spirituale. Eppure i racconti dei sogni – di alcuni in particolare – fanno a nostro avviso eccezione. Mentre li racconta, infatti, don Bosco non può fare a meno di mettere a nudo il proprio cuore, di lasciar intravedere il ricco mondo delle sue emozioni: la paura che lo coglie di fronte alla missione, lo sgomento di fronte alle difficoltà, l’istintivo atteggiamento di difesa di fronte a un compito che lo supera, l’angoscia con cui reagisce alla vista del peccato, ma ancor più la gioia immensa di percepire la vicinanza di Gesù e la protezione di Maria, lo stupore di scoprirsi strumento dei piani divini, la meraviglia di vedere dilatati gli orizzonti della propria fecondità fino a influire sulle vicende ecclesiali e sociali dell’epoca e ad abbracciare i vasti confini dell’azione missionaria. Mentre racconta i sogni, don Bosco inevitabilmente racconta di sé, di quel “sé” profondo che molte volte rimane pudicamente nell’ombra quando egli descrive lo sviluppo della sua opera o quando compone testi destinati all’istruzione del popolo di Dio o alla catechesi dei suoi giovani. Se i motivi d’interesse per un’indagine sul tema sono dunque molti, non ci si può però nascondere le difficoltà che tale impresa comporta e le obiezioni che lo studioso deve affrontare.
La prima e più radicale riguarda la consistenza stessa dell’esperienza del sogno, che il senso comune considera per sua natura sfuggente e labile, tanto che raramente nella veglia la memoria riesce a conservarne un’immagine vivida. È giusto dunque chiedersi: a quale regione del reale va assegnato il fenomeno onirico? Quale spazio gli va riconosciuto nell’ambito della coscienza umana? Quale dignità e ruolo gli si può attribuire come fonte di conoscenza? Non si tratta di domande facili, ma è stato necessario affrontarle, come condizione preliminare della ricerca. La riflessione approfondita su tali interrogativi, che sembrerebbero minare alla radice ogni pretesa di un lavoro scientifico – ossia di un lavoro che consenta di approdare a un sapere rigoroso – si è però rivelata paradossalmente una preziosa opportunità di chiarimento teorico. Entrando nella complessa problematica del sogno, infatti, è apparso chiaro che molti dei sospetti che gravano su di esso derivano da un preciso modello antropologico, affermatosi nella modernità, ma non resistono a una riflessione critica di più ampio respiro. Essi dipendono, infatti, in larga misura dalla tendenza moderna a identificare la coscienza umana con l’attenzione vigile di un soggetto consapevole, confondendo dunque la realtà della percezione con il suo grado di consapevolezza e identificando indebitamente il registro della conoscenza con l’acquisizione di idee chiare e distinte circa un oggetto analiticamente indagato. È chiaro che a partire da questi presupposti il sogno non può che essere risospinto in una sorta di “buco nero” della coscienza, come un’esperienza diminuita al limite dell’irreale. In questo modo però il soggetto moderno riduce il proprio mondo soltanto al tempo della veglia e perde il contatto con ciò che vive nella sua condizione notturna, in cui certamente non cessa di esistere, di sentire, di sperimentare – seppur in altro modo – il suo essere al mondo. Il Cogito cartesiano estromette il sogno dai confini del vero, ma lo fa al prezzo di misconoscere il rapporto della ragione con il corpo, con i sensi, con l’immaginario. Lo stesso recupero d’interesse per il sogno da parte di Freud, non fa altro che proseguire nella stessa direzione, riducendo i “contenuti manifesti” delle immagini oniriche a mero sintomo di “pensieri latenti”: facciata illusoria che nasconde una verità nascosta, riverbero distorto di qualcosa che preesiste nell’inconscio. Il fenomeno del sogno, dunque, può essere accostato nella sua originalità solo mettendo in discussione i presupposti teorici in nome dei quali s’identifica l’ambito di esperienze per cui si utilizzano i termini “coscienza”, “sapere”, “realtà”. Interessarsi del sogno significa quindi discutere le questioni radicali di una visione antropologica. La ricerca che presentiamo affronta in vari punti tali temi, propendendo per un approccio di natura fenomenologica ai vissuti della coscienza, che rispetti il fenomeno onirico con il suo originario movimento intenzionale. Più che epifenomeno delle frustrazioni inconsce, il sogno, nella sua trascendenza e per la sua trascendenza, svela il movimento originario col quale l’esistenza, nella sua irriducibile solitudine, si proietta verso un mondo che si costituisce come il luogo della sua storia […]. Rompendo con questa oggettività che incanta la coscienza vigile, restituendo al soggetto umano la sua libertà radicale, il sogno rivela paradossalmente il movimento della libertà verso il mondo, il punto originario a partire dal quale la libertà si fa mondo. Senza dilungarci oltre su questo tema, è però importante ancora richiamare la luce che esso proietta sulla complessa questione del rapporto che sussiste tra “esperienza onirica” e “racconto”. Se il sogno è inteso come evento dinamico, come apparire sorgivo di una direzione intuita, come immagine di un’intenzionalità in divenire, è chiaro che la sua narrazione non può essere una sorta di resoconto stenografico, una riproduzione dettagliata che abbia la pretesa di restituire ogni particolare in una forma definitiva. La narrazione del sogno è piuttosto il tentativo di esprimere e prolungare il dinamismo di un’esperienza percepita in una modalità diversa dalla chiarezza concettuale, un’esperienza che può giungere a parola solo come in un parto, mentre la coscienza cerca di intenderne il senso all’interno del proprio orizzonte vitale. Proprio il registro di una parola che cerca di esprimere un movimento di trascendimento è quello che più fedelmente restituisce la complessità dell’accadimento notturno. Il sogno non è dunque un materiale da laboratorio, né il racconto che lo trasmette una registrazione oggettiva. L’esperienza cui dà voce concerne le regioni più intime del nostro mondo, che nessun approccio razionalistico è in grado di nominare. Un secondo elemento di difficoltà, più direttamente connesso con l’ambito specifico della nostra indagine, è che sotto la denominazione “sogni di don Bosco” ci è stata tramandata la memoria di esperienze assai diverse: veri e propri fenomeni straordinari (per lo più del tipo che la teologia spirituale designa come “visioni immaginative”); esperienze oniriche speciali, nelle quali in qualche modo don Bosco ha ricevuto una parola da Dio, che inabita l’anima del giusto, senza che l’accadimento avesse una forma miracolosa, ossia senza sospendere le normali leggi della natura; sogni comuni di un prete zelante, nei quali risuonava l’eco della sua visione della vita e conseguentemente un certo messaggio morale; racconti didascalici presentati nel genere letterario del sogno. Distinguere a quali di queste categorie debbano essere attribuiti i diversi “sogni” non è impresa semplice; ma, almeno di diritto e in una certa misura, neppure impossibile, a patto di accostarsi ai dati senza pregiudizi, con pazienza, umiltà e senso del limite. Ogni fenomeno umano, infatti, si presenta con una propria tipicità fenomenologica, sollecitando un lavoro di riconoscimento della sua identità. In alcuni casi tale lavoro è talmente semplice da sembrarci assente (come quando per strada riconosciamo a prima vista un volto familiare); in altri casi, invece, è assai complesso e richiede un cammino di ricerca più impegnativo per consentire al fenomeno di costituirsi compiutamente, mostrando il proprio contenuto ed esibendo il proprio senso. In ogni caso, conoscere è sempre un “riconoscere”: neppure un volto familiare potrebbe essere identificato se non avessimo qualche attesa previa, che ci permette di collocare un tessuto di percezioni visive in un quadro esperienziale entro cui assume un significato. Più il fenomeno è ricco di realtà, più alta è la sua provenienza e feconda la sua donazione, più impegnativo ed esigente è il lavoro che il destinatario è chiamato a compiere per corrispondervi e consentire al fenomeno di darsi pienamente per ciò che è. Un terzo aspetto problematico, contingente ma reale, riguarda lo studio delle fonti salesiane. I “sogni di don Bosco” sono arrivati a noi attraverso percorsi di scritture e riscritture che hanno bisogno di volta in volta di essere attentamente ricostruiti (là dove è possibile). Se per alcuni sogni abbiamo la fortuna di avere una stesura autografa di don Bosco o un testo da lui personalmente rivisto, per altri racconti ci si deve affidare alla redazione di chi ne ha ascoltato la narrazione e ne ha fissato su carta la memoria. Molte di queste fonti giacciono ancora in archivio in attesa di essere pazientemente studiate, così da giungere a restituire la genealogia dei testi che sono confluiti nella versione vulgata, che di solito è quella riportata nelle Memorie Biografiche. Il lavoro storico sulle fonti rimane dunque un’esigenza imprescindibile per ogni ulteriore sviluppo della ricerca. L’attenzione al complesso processo che unisce insieme l’esperienza onirica, la sua narrazione e condivisione, la sua crescita interpretativa nella coscienza del soggetto e nella tradizione che lo tramanda, esclude comunque letture ingenue e massimaliste, che cedano all’illusione di una sorta di “immediatismo” nei rapporti tra Dio e l’uomo, come anche un positivismo storico, che pretenda di accostare con un’unica metodologia le complesse forme dell’esperienza umana. La ricerca che presentiamo in questo volume ha tentato di confrontarsi seriamente con questi nodi critici, cercando di trovare il modo più adeguato per affrontarli. La prima e fondamentale scelta è stata quella di porre mano allo studio dei sogni di don Bosco nella forma di un progetto di ricerca interdisciplinare, che si avvalesse di competenze molteplici e consentisse ai partecipanti un graduale avvicinamento alla comprensione del fenomeno e una costante integrazione dei rispettivi punti di vista. Le competenze che hanno contribuito alla maturazione della ricerca, anche quando non si sono tradotte in un elaborato confluito nel volume hanno spaziato dalla psicologia alla filosofia, dall’ecdotica delle fonti all’esegesi biblica, dall’analisi letteraria alla patrologia, dall’etnologia alla pedagogia, dalla storia della spiritualità alla teologia sistematica e spirituale. Attraverso l’ascolto reciproco, i partecipanti al seminario hanno sperimentato un graduale incremento nella comprensione delle molteplici dimensioni del tema che era al centro della riflessione comune. Pur mantenendo ciascuno la peculiarità del proprio approccio disciplinare e l’autonomia di giudizio critico, sono però gradualmente emerse alcune acquisizioni condivise, che hanno costituito in qualche modo i criteri fondamentali della ricerca comune:
– la necessità di un’attenta lettura critica delle fonti e di una ricostruzione della genesi dei testi analizzati; ove questo non sia ancora possibile, i sogni non sono divenuti oggetto di analisi specifica, ma di una lettura trasversale che nell’insieme si ritiene restituisca in modo sostanzialmente fedele l’immaginario di don Bosco;
– l’importanza di considerare il contesto sociale, storico, religioso come pure il momento esistenziale entro cui i singoli sogni si collocano, così da non accostarli come fatti isolati e portatori di un senso in sé concluso;
– l’esigenza di prestare attenzione al modo in cui don Bosco racconta.
Un particolare ringraziamento va a due colleghi che hanno partecipato al dibattito seminariale, ma il cui contributo per ragioni diverse non è confluito in questo volume: il prof. François-Marie Lethel, OCD, che ha tenuto una ricca relazione sulla consistente presenza di “sogni/visioni” nell’esperienza spirituale dei santi, e il prof. Antonio Dellagiulia, SDB, che ci ha informato in modo puntuale circa gli approcci contemporanei allo studio psicologico dei sogni. La visione complessiva che è stata fin qui sinteticamente delineata giustifica l’articolazione dei saggi presenti nel volume. Il primo contributo, di Luisa De Paula, affronta sotto il profilo filosofico la questione del sogno con la competenza che deriva da una prolungata frequentazione della materia e da una non comune sensibilità fenomenologica per l’argomento. Il saggio intende mostrare come il sogno possa essere inteso solo se assecondato nella sua originalità costitutiva, poiché «l’esperienza onirica ci apre le porte ad una dimensione altra, più ambigua e sfumata, meno uniforme e meno realistica, ma non per questo meno reale rispetto a quella di cui facciamo esperienza a mente sveglia». Sullo sfondo di una sintetica presentazione dell’evoluzione del pensiero occidentale sull’argomento, De Paula dedica particolare attenzione a due momenti decisivi del rapporto tra filosofia e sogno: il sogno di Socrate, di cui narra Platone nel Fedone, e il sogno (seriale) di Cartesio. Entrambi si pongono all’alba di due grandi archi del pensiero occidentale, segnalando l’irriducibilità del pensiero – anche il più metodico e rigoroso – alla pura lucidità deduttiva. Ogni speculazione sui significati affonda le sue radici in quel mondo del “senso” cui il sogno appartiene.
Segue una serie di quattro studi che documentano la rilevanza del fenomeno onirico nel mondo biblico e nella letteratura patristica. Michelangelo Priotto propone la rilettura di uno dei cicli del Primo Testamento in cui il tema del sogno e della sua interpretazione ha indubbiamente maggiore rilevanza: il ciclo del patriarca Giuseppe. I sogni di Giuseppe – o quelli che egli interpreta – acquistano il loro significato solo entro il cammino di fede che Dio gli fa compiere. Sono dunque momenti di rivelazione del progetto divino: non però nella forma di una comunicazione immediata, bensì come segni che orientano il cammino dell’uomo umile, che si apre alla luce dell’interpretazione attraverso la pazienza della fede. Nella stessa direzione Marco Pavan illustra il significato del sogno di Gedeone, un episodio apparentemente marginale nella storia sacra, ma in realtà paradigmatico nella sua modalità di rappresentazione del sogno e della sua interpretazione. Anche nel caso del madianita, «la comunicazione onirica appare non tanto una fotografia del futuro quanto una parola da intendere e da “ascoltare” per poter poi plasmare il futuro in accordo alla volontà divina». Il sogno nella Scrittura non ha quindi alcun tratto deterministico, ma s’inscrive in quella singolare forma di cooperazione tra Dio e l’uomo che è lo statuto della fede biblica. Il tema del sogno fa la sua comparsa anche nel Nuovo Testamento, assumendo, com’è ovvio, una concentrazione cristologica. È il caso dei celebri sogni di Giuseppe, lo sposo di Maria, su cui si concentra il contributo di Marco Rossetti. Attraverso gli strumenti dell’analisi semantica e narrativa, l’autore mostra come i sogni di Giuseppe di Nazaret si pongano in quella prospettiva di compimento del piano divino che è tipica del Vangelo di Matteo e, mentre contribuiscono ad illuminare l’identità dell’Emmanuele, orientano il comportamento dell’uomo giusto chiamato ad assumere una peculiare missione a suo servizio. Ancora una volta, dunque, il sogno rimanda all’obbedienza della fede, sollecitandola e richiedendola come spazio entro cui soltanto può rivelarsi il suo senso. L’atteggiamento aperto e insieme prudente che la Scrittura ha nei confronti di comunicazioni divine attraverso la visione onirica, unito alla rigorosa censura verso ogni forma di oniromanzia, è fatto proprio dai Padri della Chiesa. È ciò che documenta Cristian Besso, nel saggio dedicato al sogno come elemento letterario e spazio teologico nella letteratura patristica. Sullo sfondo di questi contributi, i saggi successivi si cimentano direttamente con i sogni di don Bosco. Tre saggi introducono nella questione sotto profili complementari. Aldo Giraudo ripercorre la lezione dei più autorevoli studiosi salesiani che si sono cimentati con l’argomento: Desramaut, Stella, Braido, Jiménez, Lenti, identificando la peculiarità del loro approccio al tema e riproponendo opportunamente le preziose indicazioni metodologiche che si possono apprendere dalla loro indagine, per accostare il fenomeno con rigore storiografico e attenzione critica. Ezio Bolis segnala la necessità di inquadrare le peculiari visioni oniriche di don Bosco entro il contesto sociale, ecclesiale e spirituale della sua epoca. L’ambiente culturale in cui don Bosco vive e di cui condivide preoccupazioni e domande, è molto più che una “cornice” esterna alla sua esperienza spirituale, ma gli fornisce temi, forma, linguaggi senza cui essa non prenderebbe corpo. È proprio assumendo con serietà il rilievo di tale appartenenza, che la teologia può far meglio emergere ciò che nella vita di un santo va “oltre” la propria epoca e tende a costituirsi come “rottura” e superamento di quel contesto. Il saggio di Matteo Berg amaschi, infine, accosta le testimonianze relative ai sogni assumendole come testi letterari, con l’intenzione di fare emergere l’originale figura di immaginario che è presente in essi. L’autore, specializzato nell’ambito della ricerca filosofica, si avvale qui della lezione di Gaston Bachelard (1884-1962) e attraverso l’analisi della sintassi simbolica presente nei resoconti dei sogni, giunge a identificare una possibile “topica” dell’immaginario donboschiano, evidenziandone i tratti più caratteristici e i simboli più rappresentativi. Segue una serie di saggi dedicati a studiare alcuni sogni di don Bosco o alcuni temi ricorrenti in essi. Andrea Bozzolo concentra la sua attenzione sul celebre sogno dei nove anni, affrontando anzitutto le complesse questioni ermeneutiche che bisogna attraversare per un corretto approccio al testo che lo tramanda e proponendo poi una lettura teologica, sullo sfondo dei grandi temi biblici che sono operanti nell’immaginario del fondatore.
Stefano Mazzer accosta una delle testimonianze più preziose che abbiamo circa l’origine dell’Oratorio e della Congregazione. Chiamandole “visite”, don Bosco stesso allude alla loro eccedenza rispetto a un semplice evento onirico e lascia intendere che debbano essere accostate come vere e proprie “visioni immaginative” che l’hanno accompagnato nei momenti più delicati e decisivi della sua fondazione. La quinta di queste visite ha conosciuto un suo particolare sviluppo ed è stata tramandata come sogno del pergolato di rose. Alla lettura della ricchissima simbolica spirituale operante in esso l’autore dedica la seconda parte del suo saggio. L’analisi di temi ricorrenti nei sogni è inaugurata dal saggio di Roberto Carelli che studia i sogni connessi con la missione di don Bosco nel sacramento della Confessione. Sulla scorta di una solida riflessione sul mistero del male e sulla sua oscurità, che rende impossibile ricondurlo a una logica delucidazione, l’autore mostra la pertinenza teologica della simbolica del male e della pedagogia della virtù che si dispiega nelle visioni oniriche del prete di Valdocco e la peculiare pedagogia sacramentale entro cui gli insegnamenti morali presenti nei sogni trovano la propria originaria e plausibile collocazione. Linda Pocher sviluppa l’immaginario mariano di don Bosco. Raccontando i suoi sogni mariani, don Bosco consente di intuire il suo rapporto intimo con Maria, sentita come madre benigna che incoraggia, che esorta a proseguire l’opera educativa, che fa balenare un avvenire migliore. Maria appare a don Bosco come la personificazione della Sapienza creata, che insegna ai suoi discepoli ad aprirsi al dono della grazia divina. L’immaginario escatologico è invece analizzato da Morand Wirth, che ripercorre i numerosi riferimenti alla morte e all’aldilà presenti nei racconti dei sogni, rilevandone i punti di contatto con la concezione dei “novissimi” presente nella religiosità dell’Ottocento e la ricchezza di spunti pedagogici con cui don Bosco sa presentare ai suoi ragazzi la tensione verso il definitivo. Francesco Mosetto offre poi un’accurata analisi delle citazioni bibliche presenti nel celebre sogno dei dieci diamanti con l’intento di mostrare il rapporto che esiste tra quella che può essere ritenuta un’illuminazione soprannaturale e il ricco thesaurus scritturistico, al quale don Bosco attingeva costantemente nella predicazione e negli interventi educativi, nella corrispondenza privata e negli scritti di indole catechetica o edificanti.
Particolare interesse ha l’approccio ai sogni di don Bosco proposto da Michal Vojtáš alla luce delle sue competenze pedagogiche. Dopo essersi confrontato con il realismo funzionale di Braido e la prospettiva comunicativa di Stella. Michal Vojtáš integra il loro approccio leggendo la narrazione dei sogni come atto educativo nel suo stesso darsi, così da cogliere il processo dinamico entro cui si colloca ed evidenziarne la storia degli effetti, immediati e remoti. Attingendo alle Cronachette dei primi salesiani, Vojtáš ricostruisce un ricco processo educativo-narrativo fatto d’interpretazione della situazione, accoglienza della chiamata e di opportune applicazioni pratiche. Gli ultimi studi si pongono principalmente sul versante della recezione dei sogni don Bosco. Mario Fissore esamina un caso molto interessante, sia sotto il profilo della tradizione del racconto sia sotto quello dell’utilizzo formativo: il caso di don Giulio Barberis, che ebbe un ruolo di primo piano nella registrazione e nella valorizzazione dei sogni, lasciando quattordici quaderni di appunti sui sogni e altro materiale, non ancora studiato. Fissore, lavorando sulle fonti, documenta lo sviluppo della trasmissione del cosiddetto sogno del nastro e di quello del pergolato di rose e l’utilizzo formativo che il Barberis ne fece nelle sue conferenze ai novizi, sviluppandone i ricchi stimoli spirituali e le implicanze ascetico-morali. La storia degli effetti dei sogni di don Bosco va ovviamente ben al di là della prima generazione. In questo senso Francis Gatterr e, mettendo a frutto la sua lunga permanenza in Africa e la sua competenza di etnologo, rileva l’apporto che le tradizioni orali negro-africane possono offrire alla comprensione dell’esperienza onirica di don Bosco. Michele Ferr ero, da parte sua, rilegge il messaggio apostolico e la forza ispiratrice dei sogni missionari del santo alla luce della sua esperienza di salesiano in Cina, con un contributo che ha il carattere della riflessione e della testimonianza. Infine Natale Maff ioli, esperto in storia dell’arte, documenta i tratti salienti dell’iconografia dei sogni di don Bosco, presentando alcune delle opere più significative che hanno tradotto in espressione artistica le sue visioni oniriche. Il volume che presentiamo non ha certamente la pretesa di dire una parola risolutiva sul complesso fenomeno che studia. Esso s’inscrive in una ricerca già aperta e intende rilanciarla, consapevole che molto lavoro vi è ancora da fare sul tema. Anzitutto sulle fonti, per studiarle, ricostruire gli influssi reciproci, documentare le dipendenze e le integrazioni del testo, ampliare la conoscenza del contesto storico, della mentalità e dei processi attraverso cui i racconti dei sogni sono giunti a noi. Poi sulla catalogazione dei sogni: sono stati proposti molti criteri per tentare in qualche modo di restituire in forma ordinata la ricchezza del materiale a disposizione, che ha certamente bisogno di essere meglio inquadrato e organizzato. Infine sul nesso che sussiste tra il fenomeno dei sogni, l’esperienza spirituale e la sapienza educativa di don Bosco, in una lettura sempre più integrata del suo vissuto. Sarebbe un grande onore, per coloro che hanno partecipato a questa indagine, se i saggi raccolti in questo volume servissero a far progredire in tale direzione gli studi salesiani. Giunti al termine del lavoro, chi ha promosso questa ricerca e ne firma la presentazione desidera esprimere la sincera gratitudine a tutti i colleghi che hanno accettato di mettersi in gioco in questa avventura, per la competenza e la passione dimostrate, per l’onestà intellettuale con cui hanno condiviso il proprio approccio e la viva cordialità con cui hanno arricchito il dibattito comune. Offriamo questo lavoro ai confratelli, alle consorelle, ai membri della famiglia salesiana e a tutti coloro che sono interessati a conoscere in modo più approfondito il Santo dei giovani. Chi scrive ha avuto in mente e quotidianamente sotto gli occhi, in particolare, le giovani generazioni che si affacciano alla vita salesiana. È soprattutto per loro che ha pensato questa fatica, sperando che possa essere un buon pane spirituale con cui nutrire la comprensione del carisma.
Andrea Bozzolo
Torino, 8 settembre 2017